ARCHIVIO CATTANEO

«...nel contrasto delle tendenze dalle quali è apparso pervaso e scosso il cattolicesimo post-tridentino, si è insinuato uno strano paradosso. Un'anima senza forma ha lottato contro una forma senz'anima. L'anima era l'universalità della concezione agostiniana: col suo particolarismo sempre più angusto e sempre più banale il Giansenismo ne ha mortificato e ottuso la vitalità. La forma è stata la tendenza accentratrice dello spirito curiale, culminante e trionfante nella definizione della infallibilità pontificia. Il probabilismo gesuitico ha svuotato in anticipo questo dogma di ogni concreta efficienza universale...

Il modernismo è stato un tentativo di superare la tesi e l'antitesi del Giansenismo e dell'ortodossia gesuitica, in una sintesi organica degli elementi onde si è nutrita nei secoli migliori la tradizione del messaggio cristiano. In esso si è riprodotto il dramma storico della evoluzione cristiana. Ha avuto, ai suoi inizi, una forte esperienza escatologica; è andato preparando la sua maturità attraverso una più profonda consapevolezza delle postulazioni dualistiche, che sono insite alla antropologia e alla seteriologia cristiana...

Superato e rielaborato così nel modernismo, il Giansenismo impone ancor oggi a tutte le denominazioni cristiane un problema perentorio: si può parlare di esperienza e di salvezza cristiana là dove manchi una visione pessimistica del mondo e quindi una certezza di un intervento carismatico, che è onnipotente e gratuito, trascendente e autonomo?

Quel modernismo che è stato definito sintesi di eresie è, invece, recuperamente dei valori più alti della universale rivelazione cristiana. Il contrasto fra la realtà della funzione che il modernismo è chiamato ad assolvere e la valutazione troppo precipitosamente datane, non deve recar meraviglia. La storia è un ipogeo di resurrettori. E i fossori, deponendo le salme nei loculi, segnano il loro vero dies natalis».

Con questa riflessione, Ernesto Buonaiuti (1881-1946) chiudeva nel 1928 un breve, ma intenso, saggio sul pensiero e sulla soteriologia di Giansenio.

Romano, sacerdote, storico delle religioni, filosofo, Buonaiuti è stato un esponente di spicco della cultura italiana della prima metà del XX secolo. Pioniere di un ecumenismo che solo ora, a settant'anni dalla sua morte, sembra trovare concreto consenso e ridotto da una gerarchia intransigente allo stato laicale per l'adesione al movimento modernista, sospeso dalla cattedra universitaria di Storia del cristianesimo, e non solo per il rifiuto a giurare fedeltà al regime fascista, Buonaiuti, pur oppresso dalle molte difficoltà economiche, ha lasciato una vastissima mole di scritti tra i quali ci piace ricordare:

Lutero e la riforma in Germania, 1926

Giansenio, 1928

Gioacchino da Fiore: i tempi, la vita, il messaggio, 1930

Storia del Cristianesimo, 1941

Pellegrino a Roma, 1945

Interlocutore abituale dei più importanti studiosi e intellettuali della storia delle religioni del suo tempo, quali Raffaele Pettazzoni, Giuseppe Tucci e Mircea Eliade, amico di don Primo Mazzolari e di Arturo Carlo Jemolo, coetaneo e compagno del futuro Papa, mons. Angelo Roncalli, Buonaiuti auspicò il ritorno del Cristianesimo ai valori elementari e primitivi, con un insegnamento che non è azzardato sostenere aver prodotto un influsso determinante anche sul pensiero del suo allievo comasco Franco Ciliberti, il filosofo del primordialismo.

L'Apologia dello Spiritualismo, che qui rieditiamo, è stata pubblicata da A. F. Formiggini, Roma, nel 1926.