ARCHIVIO CATTANEO

Incipit

Le considerazioni che andremo facendo, nell'intento di ricercare un primo avvicinamento all'architettura, non potranno pretendere di contenere delle verità sicure o "rivelate", da rinchiudere nel bagaglio culturale con animo tranquillo e pago. Il fine che possiamo proporci non è di giungere a delle definizioni assiomatiche o a delle impossibili certezze, ma piuttosto di riconoscere qualcuno dei problemi, di mettere in evidenza le difficoltà e forse i modi per tentare di superarle, non escludendo il dubbio, per poter suscitare dal dubbio la volontà di discutere, di approfondire, di chiarire.

L'architettura e l'arte comunicano agli uomini un messaggio, tale da richiedere l'integrazione soggettiva di chi riguarda, o legge, o ascolta.

Analogamente ogni tentativo di avvicinarci all'arte - e nel caso nostro all'architettura - non può essere che problematico, e avvenendo in un determinato "momento", ha i suoi limiti proprio nella situazione di quel "momento" né può pretendere più di quello che la contingenza consente. E neppure ci è possibile estendere l'indagine alla maggior parte dei problemi che la disciplina architettonica comporta; ma solo ad alcuni particolari aspetti di questi, che secondo un'idea personale (e perciò discutibile) sembrano porsi avanti nell'ordine di precedenza.

E' opportuno chiarire anzitutto come il corso che iniziamo non dovrà avere carattere nozionistico, ma formativo.

Non è possibile infatti pensare che si possa diventare architetti soltanto coll'apprendimento di una serie - per quanto numerosa e complessa - di cognizioni tecniche e pratiche, quasi che queste possano contenere la chiave per risolvere tutti i vari problemi. Le nozioni sono certamente utili per affrontare la progettazione, anzi senza di queste ogni nostro agire risulterebbe paralizzato; ma ad esse occorre dare l'importanza che effettivamente meritano: sono dei semplici strumenti, che da soli non bastano ad affrontare il fatto architettonico e a conferirgli validità.

Fare un'architettura non significa soltanto impiegare correttamente i mezzi di cui disponiamo; ma tendere ad un fine. Fare un'architettura significa soprattutto porsi di fronte ai bisogni pratici e spirituali dell'uomo, per interpretarli nei modi che sono propri di questa manifestazione, cioè nelle forme edificate. E queste riassumono e fondono in un fatto unitario tutti i termini che stanno alla base del processo, da quelli utilitari a quelli morali; giungendo anche ad esprimere gli ideali degli uomini che le realizzano. Dobbiamo perciò cercare di raggiungere una chiara coscienza degli scopi che l'architetto si deve proporre. Infatti, come Gropius afferma, "è oggi nelle mani di noi architetti aiutare i nostri contemporanei a condurre una vita naturale e sensata, anziché pagare un greve contributo agli dei del pregiudizio"[1].

Il mondo oggi è certamente dominato dalla tecnocrazia industriale, e dalla specializzazione. Ma lo scopo ultimo della scuola non dev'essere quello di creare degli altri specialisti da aggiungere alla schiera di coloro che già agiscono e operano, inseriti nei vari ingranaggi dell'ambiente produttivo attuale; ma degli uomini capaci di affrontare alcuni specifici problemi con una visione la più ampia possibile e priva di pregiudizi. Perciò la decisione di diventare architetti comporta pure l'impegno di qualificare il proprio inserimento (anche modesto) nella realtà dell'esperienza, secondo il senso attivo del contributo critico, e non secondo quello passivo dell'accettazione agnostica. È importante che una scelta venga effettuata e che venga identificato in questo impegno - e nei sentimenti che lo determinano - un parametro per avvicinare l'architettura da un giusto punto di vista.

È necessario perciò educarsi a "vedere" e a comprendere quanto ci sta intorno e suscitare e ricercare una atteggiamento libero e indipendente nei confronti dei problemi che volta per volta si presentano. Occorre saper affrontare l'esperienza non seguendo formule già scontate o schemi già predisposti, che tendono spesso a frapporsi come diaframmi tra noi e le cose per impedirci di vederle come sono; ma cercando di avvicinarci veramente alla realtà degli uomini e della società che li unisce. Come scrive Paci: "Bisogna liberarsi dalle "̀teorie precostituite" dai giudizi dati prima di sperimentare e di vedere, cioè dai pregiudizi. Soltanto se ci liberiamo da tutte le convinzioni precostituite, dal peso di tutte le astrazioni di cui viviamo molto di più di quanto di solito siamo disposti ad ammettere, riusciamo ad entrare davvero in contatto con il flusso vivente dell'esperienza, con quello che Husserl indica come l'autentico concreto "modo della vita"[2].


[1] W.Gropius, Architettura integrata, Milano, Casa Ed. Il Saggiatore, 1963.

[2] Enzo Paci, L'architettura e il mondo della vita, in "Casabella" 217.