ARCHIVIO CATTANEO

Pi-greco e ....


"Costruzioni Casabella" n.173, aprile 1942

π e Φ

Alcuni anni or sono, in un periodo in cui mi dedicavo volentieri a quello che Matila c. Ghyka chiama lo "sport" della "sezione aurea" (nel bel libro "Le nombre d'or" che è un po' il breviario di quei "tifosi"), m'incuriosii dell'analisi empirica del numero che è medio proporzionale tra due numeri in rapporto aureo; cioè, dato il numero Φ con cui è d'uso indicare il rapporto aureo , del numero che rappresenta la √ Φ.

Le osservazioni e le ipotesi che ne ottenni non sono forse prive d'interesse.

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Dati i termini della proporzione aurea:

  • (a+b) : a = a : b

( la somma sta alla parte maggiore come la parte maggiore sta alla parte minore)

si può stabilire una proporzione intermedia tale che:

  • ( a+b) : m = m : a

Traducendo in cifre, e ponendo per a il valore unitario, si ottiene per la (1):

1,618..... : 1 = 1 : 0,618....

oppure, ponendo 1,618 = Φ

Φ : 1 = 1 : (Φ - 1)

e per la (2):

1,618..... : 1,272...... = 1,272...: 1

e quindi:

Φ : √ Φ = √ Φ : 1

Una prima interessante proprietà di questa proporzione è che i suoi tre elementi sono i soli che possono diventare i tre lati di un triangolo rettangolo nel quale ipotenusa, cateto maggiore e cateto minore sono collegati tra loro dall'identico rapporto, ( triangolo che per comodità di linguaggio chiamerò triangolo √ Φ ) (fig.1)

Si può dunque dire: in un triangolo rettangolo il cateto maggiore è medio proporzionale tra i due altri lati solo quando sta con essi nel rapporto espresso dalla radice del rapporto aureo.

Oppure, considerando il rettangolo che ha per lati 1 e √ Φ ( rettangolo √ Φ) :

in un triangolo il lato maggiore è medio proporzionale tra la diagonale e il lato minore solo quando sta con essi nel rapporto espresso dalla radice del rapporto aureo. (fig. 1)

Confrontando il rettangolo √ Φ col classico rettangolo aureo Φ, quest'ultimo ha in rapporto aureo i due lati, mentre il nostro ha in rapporto aureo la diagonale e il lato minore. Condizione questa che mi sembra ben sufficiente per suscitare in detto rettangolo la percezione immediata della presenza del rapporto aureo.

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Qui.... viene il bello ( un bello scomodo, che nasce da un'ipotesi falsa).

Osservando quel rettangolo √ Φ - coll'esercizio riuscivo a tracciarlo abbastanza esattamente, nelle sue giuste proporzioni, anche a mano libera (come accade del rettangolo aureo, che con un po' d'abitudine si riconosce e si ritrova facilmente ad occhio, perché riassume una legge elementare che vive dentro di noi) - ebbi il sospetto istintivo che la sua area fosse equivalente a quella di un cerchio di diametro √ Φ (fig.1). Non poteva essere, perché avrebbe significato la soluzione della quadratura del circolo, problema che, come è noto, è ormai assurdo voler perseguire in vista di un risultato esatto, dopo la già annosa dimostrazione della trascendenza del numero π. Per curiosità volli peraltro verificare col calcolo la differenza tra i valori delle due aree, del rettangolo e del cerchio: e mi accorsi di aver sbagliato di poco, ottenendo dal rettangolo √ Φ un π = 3,1446... invece che il π esatto = 3,1416.

In un esempio numerico, su un cerchio di 10 metri di raggio, e quindi di 314,16 metri quadrati di superficie, l'errore è di circa 30 decimetri quadrati, neppure un terzo di metro quadrato. In un locale di circa 31 metri quadrati, l'errore è di circa 3 decimetri quadrati, meno dunque di una normale piastrella di cemento di cm. 20x20. Cioè nella pratica, per i casi che più spesso interessano gli architetti, gli ingegneri, i geometri, ecc.. le due aree si possono considerare equivalenti (come del resto è avvalorato dal fatto che, nei calcoli che solitamente ci occorre di fare intorno ai cerchi, l'uso è di assumere però il valore 3,14 approssimato alle sole due prime cifre decimali, che abbiamo viste ottenute anche attraverso il rettangolo √ Φ).

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Naturalmente il risultato non ha, come si dice, importanza matematica, per la già ricordata impossibilità di una soluzione esatta della quadratura del cerchio. E non ha nemmeno un'importanza "agonistica" in quella gara che da tanti secoli si trascina, tra i matematici e tra certi ingenui maniaci calcolatori, intorno alla ricerca di una costruzione che, con la riga e il compasso, ottenga un π sempre più vicino a quello esatto. Mentre infatti l'identificazione tra il nostro valore di π e quello vero si arresta dopo le prime due cifre decimali, in quella gara ormai un risultato che si rispetti deve estendere l'identità almeno alle prime quattro cifre decimali (la costruzione più precisa finora trovata ottiene per π il valore di 3,141594, contro il valore esatto di 3,141592....).

Però, mentre quelle costruzioni non hanno anch'esse un valore veramente matematico e nemmeno un'utilità pratica, necessitando di molte operazioni numeriche e in genere di un procedimento geometrico non rapido e difficile da ricordarsi, che ne fa scartare l'uso nei casi più semplici e comuni in cui può interessare una quadratura approssimata del cerchio ( per esempio nelle prime fasi di un progetto architettonico con spazi circolari, che tradotti in rettangoli equivalenti darebbero un'idea più immediata della loro area e capacità); la relazione invece che ho esposto tra il rettangolo √ Φ e il cerchio di diametro √ Φ

ci permette di ottenere una quadratura approssimata del cerchio mediante la riga e il compasso, senza nessuna operazione numerica e con un procedimento geometrico quasi istantaneo e semplicissimo, e tale da essere ritenuto ed applicato con la massima facilità, perché si fonda su principi elementari di geometria.

Basta, avendo un cerchio di diametro d, costruire la sezione aurea del diametro, riportandola sul diametro stesso così da dividerlo secondo la sezione aurea, innalzare dal punto di divisione la perpendicolare fino ad incontrare la circonferenza (perpendicolare che per un notissimo teorema è media proporzionale tra le due parti in cui essa taglia il diametro) (ed essendo quelle due parti già in rapporto aureo, quella perpendicolare corrisponde alla √ Φ) : infine valendosi del teorema dei triangoli simili, trovare la nuova perpendicolare in rapporto √ Φ coll'intero diametro. Il rettangolo che ha per lati il diametro e quella perpendicolare sarà quello cercato, equivalente al cerchio.

Operazione molto più rapida da eseguire che da descrivere. Si veda la fig.2. Dato il cerchio di diametro AB: con centro in B, si ruota AB sulla perpendicolare BC; 2) con centro in O, si porta C in C' ; BC' è sezione aurea di AB; 3) con centro in B, si ribalta BC' in BC'', sul diametro che è così diviso in due parti, BC'' e C'' A , in sezione aurea; 4) si innalza da C'' la perpendicolare fino a D; cosicché BC'': C''D = C''D : C''A ; 5) si prolunga la congiungente BD fino al punto d'incontro D' con la perpendicolare innalzata da A ; AD' è, col diametro AB, lato del rettangolo √ Φ.

Infatti:

  • ( a b ) : a = a : b

AB : BC'' = BC'' : C''A

e poiché B C'' D è un triangolo √ Φ in esso:

  • ( a+b) : m = m : a

BD : BC'' = BC'' : C'' D

e nel triangolo simile BAD' :

BD' : AB = AB : AD'

dove BD' rappresenta la diagonale, AB e AD' i due lati del triangolo cercato.

In conclusione:

l'area del cerchio è equivalente, con un'approssimazione al millesimo, a quella del rettangolo in cui il lato maggiore, uguale al diametro, è medio proporzionale tra la diagonale e l'altro lato.

In particolare:

l'area della semicirconferenza è equivalente, con un'approssimazione al millesimo, a quella del triangolo rettangolo in cui il cateto maggiore è medio proporzionale tra l'ipotenusa e il cateto minore.

La costruzione è tanto semplice ed evidente che davvero credo possa essere applicata con vantaggio nei casi più comuni. Anzi, pur astraendo dalla frequente utilità grafica di trasformarci l'area di un cerchio in quella di un rettangolo equivalente, e davanti al problema ancor più frequente e generale di trovare l'area di un cerchio che abbiamo disegnato, credo che il metodo su esposto sia nella sua traduzione materiale più rapido che non quello della formula diretta

A = π r²

I pochi secondi richiesti delle operazioni geometriche sono compensati ad abbondanza dal poter ridurre le operazioni numeriche alla moltiplicazione dei due lati del rettangolo; laddove la formula π r² comanda due moltiplicazioni, una per elevare il raggio al quadrato, l'altra del prodotto ottenuto per 3,14. Mi sono voluto divertire in due prove di confronto, con due cerchi di raggio diverso, ricavando l'area di ciascuno con ambedue i sistemi:

  • diametro cm.16,5

area esatta cm 213,8

area con π r² : cm² 213,7 in 2'40''

area con √ Φ: cm² 214,5 in 1'50''

  • diametro cm. 10,3

area esatta cm² 83,32

area con π r²:

(con raggio 5,15) cm² 83,28 in 2'20''

(con raggio 5,1) cm² 81,67 in 1'15''

area con √ Φ: cm² 83,43 in 1'15''

Nel caso B) si osservi che, per ottenere con π r² un tempo uguale a quello con √Φ, ho dovuto assumere un raggio meno preciso, con una conseguente notevole inesattezza nel risultato.

L'esperienza è fatta ......... senza trucco: a chi la volesse ripetere consiglio la variante della fig. 3, che è più rapida perché ottiene direttamente il lato CD' dai due triangoli simili BC'D e BCD'.

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Non insisto sul caso particolare di un'applicazione pratica; ma questa quadratura approssimata del cerchio, priva d'interesse matematico, può averne invece come contributo allo studio della "sezione aurea" (con le conseguenze che poi ciascuno ne vorrà trarre, secondo l'animo con cui si pone a tali studi; che può essere per conoscere le meraviglie del mondo o per un'applicazione immediata nell'architettura; io preferisco il primo atteggiamento, che non riduce la "sezione aurea" a una ricettina).

Abbiamo infatti individuata una relazione tra il cerchio e la sezione aurea, tra il π e il Φ: una relazione di cui si dovrebbe avere una percezione istintiva, non viziata da troppi passaggi, tale da emergere spontaneamente dal fondo di noi: perché il 3,14 e l'1,618 vi sono presenti direttamente e prepotentemente, nell'equivalenza tra il cerchio, dove il π esprime il rapporto tra la circonferenza e il diametro, e il rettangolo che ha la diagonale e un lato in rapporto Φ. Avendo letto in seguito il già citato libro del Ghyka - che costituisce una documentatissima ed autorevole storia, da Pitagora ad oggi, della sezione aurea e delle sue ricorrenze nella geometria, nella fisica, nelle scienze naturali, nelle arti, nella filosofia, nella magia, nella politica - non vi ho trovato nessun accenno a una relazione con la figura e le leggi del cerchio: se da altri fosse già stata resa nota, è almeno strano che uno studioso informatissimo come il Ghyka ne taccia.

C'è sempre, anche qui, ad avvelenare la convinzione e la soddisfazione nel risultato, il "punto nero" di quell'equivalenza soltanto approssimata: se il π è per definizione un numero trascendente, perché ostinarci nel cercare un'equivalenza approssimata finché si vuole, ma non mai veramente raggiungibile? è possibile che, tra la matematica e un'estetica non scioccamente surrealistica, esista dissidio? l'idea istintiva che noi abbiamo del cerchio non include già forse, e senza che noi ancora ce ne sappiamo render conto, la necessità della trascendenza di π? da quando quella trascendenza è stata dimostrata, essa non è scesa in noi e nella nostra coltura e vita spirituale , fino a farci sentire ogni tentativo che la smentisca come un atto contro l'unità delle cose?

Potrei cavarmela citando ancora il Ghyka, che insiste spesso, tra le ricorrenze più caratteristiche della sezione aurea nel campo della botanica, sulla cosidetta Serie di Fibonaci (serie regolatrice delle curve di crescita) la quale, nei suoi termini finiti 1,1,2,3,5,8,13,21,34,55..... è un'approssimazione discontinua naturale dalla serie continua aurea. Non si dovrebbe quindi trascurare nemmeno il π approssimato 3,1446....che si ottiene della sezione aurea.

E insomma, checché i matematici possono dire, a me sembra molto strano che le due grandi famiglie geometriche che fanno capo a 3,14 e a 1,618,debbano rasentarsi così da presso nel loro cammino sinfonico, in un passaggio importante ed elementare come quello che abbiamo individuato, e pur rimanere l'un l'altra estranee, soltanto per la piccola diversità dei due risultati concomitanti. E' possibile che l'errore, grande o piccolo, sia sempre ugualmente errore? non si può dare un senso, una qualità, una verità, anche all'errore? Non può aversi il caso (mi si perdoni l'affermazione dilettantesca) che da certi punti di vista un

π = 3,1446 sia più giusto del π classico? e che l'arte abbia forse già realizzato inconsapevolmente una identità tra π e sezione aurea, che verrà più tardi dimostrata?

Mi arresto perché il mare è troppo infido per noi architetti, anche se vorremmo navigarvi ed approdare all'isola meravigliosa che vediamo laggiù in fondo e che è la nostra terra.

L'entusiasmo mi fa pensare, come compito suggestivo per un matematico, quello di costruire un sistema su questa ipotesi che sappiamo già sbagliata, e di svolgere tutte le relazioni e le definizioni del cerchio che si ramificherebbero da quella parentela con la sezione aurea che è già in partenza un errore (ma un "piccolo" errore). Basterebbe supporre un cerchio non perfettamente circolare, ma con una piccola aberrazione di sfericità proporzionale alla differenza tra i due π. Chissà se nello sviluppo di quel sistema fittizio le leggi nuove andrebbero sempre di conserva con le leggi già note del cerchio (separate da un costante margine d'inesattezza): oppure se in un certo punto emergerebbe un contrasto perentorio, a sottolineare ed illuminare la natura del vero π classico.

In un'ipotesi siffatta dell'equivalenza delle due aree, emergono già ora alcune significative analogie tra il π e il numero Φ.

Per esempio, ambedue sono numeri irrazionali. Inoltre, la costruzione che ho descritta per la quadratura è retta da un concetto di medio proporzionale che è il ponte di passaggio sia verso il π sia verso il Φ (1,618....) ed è caratteristico delle due figure del cerchio e del rettangolo: essendo nel rettangolo il lato = Diametro = √ Φ medio proporzionale tra la diagonale e l'altro lato che sono in rapporto aureo, ed essendo la circonferenza, cioè il π, definibile come il luogo dei punti dove la perpendicolare innalzata dal diametro è media proporzionale tra i due segmenti in cui essa divide il diametro stesso.

In particolare, supposta l'identità delle due aree, si ottiene la formula π = 4 √1/ Φ = √32/√5+1

E' anche noto che tra i più importanti e completi sistemi di tracciati regolatori nei monumenti antichi si colloca quello dell'architetto tedesco Moessel che, analizzando un'infinità di monumenti nella loro proiezione di pianta e d'alzato, è riuscito a trovarne la chiave geometrica (dove naturalmente emerge spessissimo il rapporto aureo) partendo sempre da un "cerchio direttore" in cui il monumento è iscritto. Ciò beninteso si ottiene iscrivendo anzitutto nel cerchio, un pentagono o un decagono, che sono poligoni retti dal rapporto aureo e che diventano a loro volta il punto di partenza delle ulteriori scomposizioni: ma non è in gioco - in questa intuizione del Moessel e nella sua conferma sperimentale attraverso l'analisi diretta di tante architetture e l'esempio di molti trattati regolatori pervenutaci dell'antichità - anche una più misteriosa ed immediata parentela del cerchio con la "divina proporzione"?

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Non so quale significato possano assumere analisi ed ipotesi come queste nel quadro della geometria moderna, tutta rivoluzionata dai suoi sviluppi non euclidei; forse soltanto un significato archeologico. Infine davanti a quegli sviluppi la posizione più spontanea degli architetti e degli artisti - che ne sono investiti solo nei riflessi confusi, e che d'altra parte si valgono tuttora, nelle espressioni del loro mestiere, della geometria euclidea - è di noia e di scetticismo per quel gran castello materialistico che gli ultimi secoli avevano costruito e che va malamente crollando, sotto i colpi della filosofia, delle arti, delle scienze. Le esperienze culturali coincidono: la filosofia, l'estetica ci hanno insegnato che due e due non fa soltanto quattro, ora lo impariamo anche dalla matematica: ed anche la geometria, considerando ormai con spregiudicatezza certi suoi postulati fino ad oggi insospettabili, come quello delle parallele, ci incoraggia a quella concezione spirituale delle forme architettoniche attraverso la quale abbiamo potuto rovesciare i pilastri della dogmatica Vignolesca e capire che le membra dell'organismo architettonico sono misurate sul modulo della legge lirica che governa quell'organismo, e non soltanto sulle loro dimensioni nel cosidetto spazio sensibile.

E' perciò che "la sezione aurea" è viva per noi non tanto nelle sue espressioni euclidee, quanto per quel "principio d'economia" che la regge e che evidentemente ha un'importanza non soltanto matematica; e che l'ipotesi che ho fatto, di una relazione tra π e Φ, è divenuta sbagliata, e si è abbassata al tenue significato di un passatempo surrealistico, solo quando mi sono rammentato che una quadratura del cerchio è impossibile.

E' avvenuto troppo presto, come fatalmente doveva. Però - se penso a quelle poche ore d'illusione, quando nella mia ignoranza di matematica credevo di aver scoperto la quadratura del cerchio attraverso la sezione aurea, e già mi vedevo avventurato in un'invenzione geometrica meravigliosa - mi ricordo che mi animava un entusiasmo non minore di quello che ci prende nel trovare d'un tratto, dopo molti mesi di tentativi accaniti ed inutili, la chiave per risolvere un problema d'architettura. Vorrei concludere che, se la quantità di entusiasmo è uguale, anche le nostre creazioni architettoniche sono, non meno di quell'"assurda" ricerca di quadratura, tuttora parziali e dilettantesche, lontane da quell'atmosfera di verità assoluta, "scientifica", in cui dovremmo sentire giustificati i nostri progetti. Prevedo l'obbiezione: l'architettura propone una composizione più vasta, di un maggior numero di elementi, quindi si accontenta di una soluzione più inesatta di ciascun particolare elemento. Ma se fosse così, se si potesse ammettere un compenso della maggior quantità con la minore precisione, cioè con una minore qualità, una minore ricchezza di suoni ecco che quella maggior quantità diventerebbe soltanto un'illusione; a dove finirebbe la spesso decantata superiorità dell'arte sulla scienza?

La misura di quella superiorità può essere soltanto nell'entusiasmo. Chi dunque ridesse di questi miei tentativi intorno alla quadratura del cerchio, non si dimentichi poi di ridere anche davanti alle mie architetture.

Una cosa vale l'altra, anche nel fare un edificio, dopo i primi momenti di soddisfatta sicurezza, scopro errori ben più gravi di quello tra i due π della mia costruzione geometrica. E per trovare un artista migliore di me, basta cercare un geometra che sappia pensare un'ipotesi matematica un po' meno puerile e un po' più valida della mia (dovrebbe esser facile).

CESARE CATTANEO