ARCHIVIO CATTANEO

dall'introduzione di Carlo Bassi

... È con una disposizione emotiva particolare che mi sono accinto a rileggere questi testi che mi avevano stupito ed entusiasmato quando ebbi la ventura di averli quasi tutti sottomano in quegli anni lontani.

Allora coglievo in essi la grande novità del dibattito, delle prese di posizione eretiche, dei contrasti, delle novità che affermavano, fino alla contestazione pure all'interno del confor­mismo coatto imposto dal regime.

Siamo alla fine degli anni Trenta e polemizzare in modo così puntuale (anche se era fatto, dicevano i protagonisti,a maggior gloria di Dio) dentro al sistema generalizzato del consen­so non doveva essere facile: bisognava avere idee, programmi e visioni del futuro e del mondo, convinzioni assolutamente radicate e questo era (ed è) il grande pregio di questi testi: la loro assoluta chiarezza e autenticità.

Per discutere così apertamente e spesso aspramente con gli architetti e con la cultura ar­chitettonica romana che si cocollava vicino al potere, contrastare le affermazioni e le teo­rizzazioni dei critici che erano i corifei della cultura totalitaria e ne guidavano l'evolvere del pensiero, bisognava avere coscienza che tutto questo poteva non essere indolore. Anche se si operava all'interno di un luogo che era come una fascia protetta ai confini dello stato, che godeva di un prestigio secolare (e quindi di statuti non detti ma reali) proprio per la sua altissima tradizione architettonica. Cattaneo sembra contestare questa realtà (si veda il punto 3 del capitolo su Como della sua tesi di laurea). A mio avviso tuttavia questo status ha, forse inconsciamente, condizionato l'atteggiamento repressivo del regime e consentito polemiche e realizzazioni certamente non in linea con le disposizioni di Pavolini, rendendo Como e i suoi ambiti "città di frontiera", isola felice.

La vis polemica di Cesare Cattaneo non risparmia obiettivi.

La mostra del Sindacato Artisti al Broletto di Como (20 settembre 1935,La Provincia di Como) le opere di Rho e Radice giovani maestri dell'astrattismo sono le uniche che ricevo­no il suo plauso esigente. Essi sono le figure che con il nome di "Giuseppe" faranno il con­trocanto a "Giovanni" nel famoso dialogo.

Un testo a mio avviso fondamentale negli ambiti polemici del libro è quello dedicato alle Scuole d'Architettura firmato con Vito Latis collega di studi con il quale ebbe lunga familia­rità, pubblicato da "Quadrante" nel 1935 (sarà interessante più avanti una considerazione su queste date) che a mio avviso è da collegare a «Nuovo accademismo architettonico» "Quadrante" giugno 1934.

La sua meditazione è a tutto campo e investe non tanto i programmi quanto il concetto stesso di "scuola" e di "scuola di architettura". Il rapporto allievo-docente e la gerarchia che li lega, il modo di essere allievo e quello di essere docente, il perché dello studio delle ma­terie scientifiche, della storia dell'arte e dell'estetica (e come andrebbero studiate), il nu­mero degli allievi. Il problema della "creazione" e il concetto di "tendenza".

Direi che siamo davanti ad una analisi di una modernità e di una attualità assolute che af­frontano i nodi portanti del concetto di "scuola di architettura" con una visione molto ampia e chiarissima dei problemi.

Cattaneo arriva a ragionare (con molto anticipo) della "figura sociale dell'architetto" e delle responsabilità che gli competono come conseguenza degli ideali e degli impegni che lega­no strettamente l'architettura nuova alla società degli uomini e ai suoi grandi problemi.

"...vorremmo che da tutte le università d'Italia e non solo dalle scuole di architettura uscis­sero schiere compatte di giovani idealisti fino all'osso del collo con la testa maledettamen­te fra le nuvole...".

È noto come l'atteggiamento di Cesare Cattaneo nei riguardi della presenza dell'architetto all'interno del progetto e della sua realizzazione sia stato quello di immersione totale.

L'esemplificazione di questo impegno e di questa dedizione assoluta è la mitica casa di Cernobbio dove, nel progetto, fino ogni vite è stata prevista e posata in opera dopo essere stata attentamente studiata e valutata nelle sue funzioni. Gli americani definiscono questo metodo "progettazione totale": Cattaneo ne è stato certamente un antesignano insieme a tutti gli architetti razionalisti. "La ricerca radicale della perfezione tecnologica nella quale ogni dettaglio acquista un preciso significato polemico". E' quindi in questa ottica che ra­giona di produzione in serie e di prefabbricazione, di coperture piane e di gronde, di acqua che dilava e quindi di intonaco e di protezioni...poi di "Numero d'oro".

La tenacia della sua ricerca sulla 'sezione aurea' e la sua dedizione alle infinite valenze e significati di essa proprio in funzione dell'architettura sono un altro segno della acribia con la quale Cattaneo vuole entrare dentro, intus ire, nella realtà del progetto: non il rettangolo importa ma quel "tale" rettangolo gli aveva insegnato Giuseppe Terragni suo primo mae­stro e figura leader del razionalismo, autore della Casa del Fascio manifesto e prototipo ri­voluzionario della architettura nuova. Su quel "tale" rettangolo Cattaneo regolerà tutta la sua sintassi progettuale con un impegno "esuberante e disperato".

Vorrei chiarire perché, ancora oggi, ottant'anni dopo, guardiamo ancora a quel pensiero e alle realizzazioni che lo sostanziano come a dei riferimenti fondamentali e condizionanti dell'operare contemporaneo e come essi siano ancora al centro della polemica con il gran­de tema del "postmoderno" e i suoi fenomeni degenerativi.

Cosa hanno fatto di straordinario le figure emergenti dell'architettura di quegli anni, citiamo Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo, Pietro Lingeri, per essere ancora oggi le loro opere "sostanza di cose sperate"?

Hanno reinventato "lo spazio" e lo spazio è la condizione fondante dell'architettura.

Hanno riscoperto il rigore geometrico e prospettico, e la poesia, del razionalismo del Rina­scimento intervenendo sui volumi.

Cercano sempre una integrazione fra interno ed esterno. Ciò deve produrre invasi spaziali la cui realtà era andata perduta per privilegiare solo aspetti esteriori (la facciata e il suo di­segno come mito ottocentesco).

Hanno riproposto il rapporto fra struttura portante e involucro conferendo precisa e visibile autonomia alle due realtà dell'edificio.

Gli esempi, a cominciare dalla Casa del Fascio e dalla casa di Cernobbio sono ancora sot­to i nostri occhi e disponibili alle nostre considerazioni.

Alcuni hanno definito queste straordinarie realtà "architettura fascista": ancora uno scher­mo retorico come quello dell'antibolscevismo perché era chiaro che essa era proprio al­l'opposto, in antitesi con il pensiero privilegiato dal regime.