ARCHIVIO CATTANEO

Lettera aperta. Dedicata al comasco al cento per cento


 Il Broletto n.25, gennaio 1938

LETTERE APERTE

Dedicata al " comasco al cento per cento"

Il protagonista del secolo scorso, il Progresso, ha, secondo l'opinione universale, raccorciato le distanze, facilitato gli scambi, abituato idee, uomini e paesi a vivere in collaborazione. Pare che ci fosse un'ubbriacatura collettiva nel miraggio di trasportare la vita da un piano locale su un piano internazionale; quei treni del cinematografo che corrono fotografati di scorcio sono probabilmente l'immagine di quel fondamentale stato d'animo.

Nel nostro secolo, quando venne il momento di superare i programmi e di agire sulla realtà delle cose e degli animi, ci si accorse che " il passo era troppo lungo per la gamba" e che una società umana che aveva vissuto per secoli una vita locale non poteva, senza mettersi a litigare, internazionalizzarsi. La guerra mondiale e il dopo guerra fecero aprire definitivamente gli occhi; e in genere ci si persuase che l'internazionalismo integrale era meglio rimandarlo di qualche secolo, forse di sempre; e di fare nel frattempo un "allenamento nazionalista".

Donde quei movimenti che, ispirandosi al fascismo italiano, intendono raccogliere nell'entità politica e spirituale di una nazione le attività degli individui.

Chiedo scusa di aver interpretato semplicisticamente l'attuale momento storico, al solo scopo di mettere a fuoco il problema delle cosiddette città di provincia- e Como ne è un bell'esempio- la cui organizzazione attuale, rimasta su un piano locale, è tipicamente sfasata, ed assurdamente autonoma, rispetto alla vita della regione e della nazione cui appartengono.

Queste considerazioni non sono una novità, sono anzi un luogo comune, e si potrebbero ricordare le iniziative per i piani regionali, per l'urbanistica corporativa, in breve tutte le organizzazioni del Regime. Ma è utile insistere perché la realtà è rimasta spesso paurosamente diversa dal programma. Programma che interessa tutti, l'organizzazione urbana non essendo la semplice sistemazione delle case e delle strade, ma la valutazione e il coordinamento di tutti quei fattori materiali e spirituali che alimentano la vita della città.

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Ecco un quadretto di Como attuale:

Centro tradizionale italiano della tessitura serica, con la sede delle società nel nucleo urbano e con gli opifici parte in città, parte nella provincia; intorno le zone eminentemente turistiche del lago e della Brianza, e immediatamente vicini i due centri di Cernobbio e di Brunate; situazione topografica in se stessa non eccessivamente felice, ma beneficiante della vita e delle risorse del lago e dell'immediata vicinanza del valico di Chiasso; infine a 40 chilometri di distanza, la metropoli di Milano.

E' una situazione pericolosissima. Uomini di industria e di affari in mezzo a un bel paesaggio. Maneggio con responsabilità degli affari per otto ore della giornata, maneggio senza responsabilità della "poesia" negli intervalli.

Vergogna romantica e borghese di essere "soltanto" uomini d'affari e desiderio delle "gioie dello spirito", merce stranissima che dovrebbe essere un monopolio di letterati, pittori e musicisti, e di cui si può ingerire una piccola dose la domenica o la sera sul Viale Margherita o "all'ombra del mio bel Duomo"(frase che per il suo "bonario egoismo" commuove le moltitudini locali); non troppo però, perché le "pazzie dei poeti" sono applaudite al cinematografo, fischiatissime nella vita!

Il bello è che questi mali non sono un monopolio della nostra città, ma un'espressione dello spirito cosiddetto borghese, e non si potrebbero sopprimere senza sopprimere la civiltà: la "borghesia" è "la civiltà alla portata di tutti", e permette - o delizia! -di sistemare le proprie idee e di agire con fiducia. Il panorama di Brunate è bello, bisogna goderlo, specialmente al tramonto; ecco il dovere del borghese.

L'individuo che pensa il contrario, e il panorama gli piace di più a mezzogiorno, e al panorama di Brunate preferisce magari il Lungo Cosia, è un rompiscatole, che costringe il borghese a dubitare della parola "bello" sull'ormai sicura applicazione della quale contava di spendere benissimo il biglietto della funicolare. E' uno stupido anche, perché introdotto il dubbio sulla bellezza di Brunate, se ne aggiunge subito un altro sulla bellezza del Lungo Cosia; e così via, fino a giungere a quelle situazioni di ordine filosofico che affrontate non si risolvono se non dimenticandole.

Dunque è certo che un bel paesaggio, arricchito di turisti e di "gente d'arte", è per gli uomini d'affari ecc. un incoraggiamento al dilettantismo e a tante altre posizioni equivoche; per cui l'austero compito di riformatori è già più difficile in partenza ( "Noi veniamo dalle brume del Nord, a scuotervi dal sonno del sole!").

"Scendo ai particolari". Dal quadretto cittadino è bene rispolverare alcune vecchie constatazioni; e cioè:

1)La funzione di Como come centro nazionale della tessitura serica può con vantaggio continuare nell'avvenire, per la mancanza in Italia di altri centri completamente e tradizionalmente organizzati per la produzione dei tessuti, e per la vicinanza con Milano che appunto è il centro maggiore di smercio della materia prima e del tessuto stesso. L'importante è che si appoggino quelle iniziative di propaganda che permettano di conquistare nuovi mercati e di allargare il campo di applicazione del nostro tessuto nella vita moderna.

Non sono in grado di dire se Como potrebbe intensificare, oltre che la produzione, il commercio del tessuto, data la presenza nella sua regione di una clientela italiana e straniera di notevoli possibilità di acquisto. Ma anche nel solo campo della produzione si vorrebbe che l'alto livello tecnico e le ricerche dell'Istituto Nazionale di Setificio fossero più divulgate in tutta Italia, in modo da creare sull'argomento quella vivacità di proposte scientifiche e pratiche che farebbero di Como un centro di studi serici tale, da impedire che nella nostra industria la figura del tecnico venga a poco a poco sopraffatta da quella dell'amministratore.

2) Como non è indicata ad assolvere una sua indipendente funzione

turistica, perché svantaggiata nel confronto con altri centri e zone vicine - anche della sua stessa provincia - meglio favorite dal clima e dalle risorse naturali, e più esclusivamente dedicate all'industria turistica.

Nemmeno dovrebbe interessarsi ad un ipotetico compito di "capitale del lago" nel campo economico e organizzativo, perché il lago sta orientandosi nel senso di una zona di sfogo "naturistico" di tutta la regione e in particolare di Milano.

Qui peraltro la questione è complessa, e richiederebbe per essere affrontata un esame generale sul carattere che ha oggi e che dovrebbe avere da noi il turismo. Perché non ci si è abbastanza preoccupati di dare uno stile e un ordine alla resurrezione del già decadente turismo internazionale, ed allo sviluppo crescente e spontaneo del turismo domenicale nostrano. Io credo che sia ormai soltanto malinconico il rimpiangere i lunghi vecchietti inglesi di Cadenabbia e quell'imbattibile "convalescenziario " che era il centro- lago di una volta. L'Italia d'oggi deve poter fare a meno di queste forme di turismo internazionale. Lasciamo il mestiere alla Svizzera che del resto, col suo sorridente viso di contadinella-tipo, lo sa fare anche con più astuzia di noi. Ma se i laghi svizzeri sono tanti quadretti dove le montagne aguzze e nevose si specchiano con quelle ombre sicure e quei brillanti colori dosati secondo la ricetta eccitante indispensabile al viaggiatore in vacanza, il nostro lago e i nostri paesaggi, sono, perdio, qualche cosa di diverso. Nel superbo duetto tra l'inglese e il "Giardino d'Europa" entrano da guastafeste anche le popolazioni indigene del lago che non hanno mai fatto di buona voglia il mestiere del tipo pittoresco e che hanno nella loro storia troppe tradizioni di attività, di indipendenza e in genere di espansione piuttosto che di ricezione, per poterle asservire alle solite manifestazioni folcloristiche pettegole e stantie; e alla "messa in valore" di stereotipati panorami, che dovrebbero divertire il forestiero e fargli pagare una pensione più lunga.

In questo modo l'Italia non sarà mai esportatrice di civiltà. Dalle loro tombe si leverebbero a protestare i Maestri Comacini, che avevano ben altro fegato in corpo, e si conquistavano il mondo e quella Roma, che diventò eterna, ecc. non soltanto per merito dei " Romani de Roma" ma soprattutto per merito degli umili e barbari immigrati.

Non poca parte di questa bella situazione la si attribuisca al Touring Club Italiano, anzi, alla Consociazione Turistica Italiana! che è lungi oggi dall'esercitare nella vita italiana l'influenza attiva e attuale che seppe invece, e così brillantemente, esercitare nell'anteguerra; quando per mezzo suo la gioventù poteva soddisfare quel piacere della scoperta turistica così vivo allora, e le popolazioni più primitive ricevere i vantaggi immediati del Progresso. So benissimo che, sfogliando " Le Vie d'Italia " o i volumi "Attraverso l'Italia " si incontrano non soltanto le vignette paesistiche e panoramiche, ma descrizioni e illustrazioni di industrie, processi scientifici, problemi economici.

L'errore è però appunto nell'accostare due cose già tanto diverse, giudicandole sempre con un metro diverso, invece di vederle sotto quel punto di vista unitario che è poi il segno dell'indispensabile armonia interna; incoraggiando così a durare il triste fenomeno dell'industriale e dell'uomo d'affari che fintantochè fa il suo mestiere sa essere uomo del suo tempo ed elemento attivo nella vita nazionale: ma quando si accosta ai problemi della cultura, dell'arte; ecc.....mette in folle il cervello e innesta la marcia alquanto lenta degli altri tempi.

Alla cosiddetta Italia mandolinistica non si può opporre soltanto, per far vedere che la musica è cambiata, l'Italia con le nuove strade, le nuove scuole, i nuovi stabilimenti.

Non si può distruggere un fatto che volle incidere sui valori spirituali, con nuovi elementi che li ignorano, pur essendo l'espressione di un clima nuovo. Il problema è da affrontarsi direttamente, non indirettamente; i monumenti, i musei, i paesaggi pieni di "sogno" esistono ancora, e non si può semplicemente fregarsene , non fosse che per le loro dimensioni. Ma non dobbiamo, davanti a loro, dimenticare la nostra vita e ripudiarla; anzi farli entrare nella nostra vita, questi fatti della natura e dell'arte ( se non ci entrano, si lasciano stare; se poi c'è caso che diano addirittura fastidio, perché non distruggerli? ).

Torniamo al lago di Como. Già oggi l'uomo normale, milanese o comasco che sia, ha presa l'abitudine, con la rapidità delle comunicazioni, di considerare una gita sul lago una cosa ordinaria e non straordinaria. Bisogna che questo costume si accentui, fino ad includere nelle abitudini della vita quotidiana quella di uno sfogo "igienico" dai centri di lavoro, che assicuri l'efficienza fisica del cervello necessaria al lavoro. E ciò non semplicemente in vista di un regime naturistico; perché qui entra in atto la funzione del paesaggio, che non è più bello di quello di un Lungo Cosia - i paesaggi non sono né belli né brutti, sono quelli che sono - ma contiene in sé quei caratteri di singolarità che eccitano la sensibilità e la svegliano davanti al fatto commovente della Natura: alberi e monti, laghi e paracarri, angeli custodi dell'uomo (suoi adulatori, che gli dicono di specchiarsi in loro, se vuole scoprirsi qualche pregio. Solitudine, ultima risorsa della vanità!).

Come si vede un simile concetto della Natura propone agli uomini una riflessione più profonda sulla loro esistenza e non l'oblio, complice l'ingenuità addormentatrice della campagna, delle porcheriole fatte in città.

E gli stranieri? Non li cacceremo via; ma se vogliono essere i benvenuti, dovranno portarci non soltanto un buon appetito, ma il loro cervello; senza astrarre, nella bella Italia, dagli abitanti della medesima. E noi naturalmente - noi per i primi - metteremo la nostra buona volontà nell'offrire loro quelle possibilità di scambi e di discussioni che sono indispensabili ad un'Italia che vuole arrivare prima degli altri.

Quale migliore centro per queste attività intelligenti della regione del lago di Como, interessante per il suo aspetto naturale - dunque favorevole alla riflessione - e vicina da una parte alla città più viva d'Italia - Milano - e dall'altra alla Svizzera, ritrovo turistico internazionale?

La regione dei laghi è, rispetto a tutta l'Italia, in una posizione geografica asimmetrica nel senso del parallelo, simmetrica nel senso del meridiano. Quando si ricordi - secondo la massima che gli amici non sono mai troppo uguali fra loro - che i rapporti amichevoli fra le nazioni si sviluppano geograficamente di preferenza lungo il meridiano, e i rapporti non amichevoli lungo il parallelo; si constaterà che il lago di Como è sull'asse "pacifico" d'Italia. E per quanto si sa, le cosiddette attività contemplative non si esercitano volentieri in guerra.

3)Se Como non può essere la Capitale del lago, può invece avere una

funzione di completamento e di coordinamento delle vicine stazioni turistiche di Brunate e di Cernobbio.

Brunate accentuerà in avvenire le caratteristiche di soggiorno estivo per i milanesi e i comaschi stessi; soggiorno che trae il suo prestigio dalla giacitura panoramica e dalla comodità con cui si può giornalmente salirvi a godere la frescura degli 800 metri.

A Cernobbio la tradizione di un celebre albergo mantiene al paese una fama di stazione turistica internazionale. Ma oggi Cernobbio e Brunate conducono a pochi minuti di distanza da Como una vita autonoma; e poiché sono due piccoli centri, il meglio che resti da fare agli ospiti è di trovare qualcuno al caffè, di guardare il lago o il Monte Rosa appoggiati ai parapetti, di fare qualche placido sport, di andare con donne, di dormire. Non è molto. Quando la Città di Como considerasse la possibilità di incorporare nella propria circoscrizione comunale Cernobbio e Brunate, sarebbe molto più facile arricchire la città di quegli ingredienti e di quell'attrezzatura (spettacoli, negozi, manifestazioni sportive e culturali, forniture, servizi) con cui il soggiorno a chi viene da Milano o dall'estero, e che ha perso ormai definitivamente il piacere per la vita "semplice", può riuscire interessante.

4)A 40 km. di distanza da Milano, Como non deve temere se le è

assegnata una parte di città satellite. Perché tanta paura oggi di far la luna? Quella buona luna che pure tornò comoda per metter di moda un romantico Lario, " lago di amanti"! Siamo al tempo del Barbarossa? E' necessario che scompaia quel senso "di luci della città", quel senso di " marcia verso l'ignoto" quasi inavvertibile, ma non ancora eliminato, che prende il comasco che scende a Milano, quando "si affaccia" al piazzale della Nord. Como ha tante belle cose da fare quando vorrà mettersi d'accordo con la metropoli, per le migliori fortune della sfruttatissima e generosissima Lombardia. Legata a Milano da rapporti industriali ed economici, offrirà alla stessa ampie zone residenziali e d'immigrazione stagionale. I milanesi che le sere d'estate devono accontentarsi dei loro sobborghi, i comaschi che vorrebbero contribuire col loro lavoro all'attività della metropoli, non possono che sottoscrivere il programma idilliaco.

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Il tono di questo poco gentile discorso è abbastanza utopistico per far sorridere il finto "uomo integrale", il bilanciatissimo realista che, ossessionato della sua "latinità" , fa lo scettico di tutte le teorie e di tutti i programmi , con la scusa che non tengono conto degli uomini. Se il Cristo fosse stato come costoro, avrebbe predicato l'amore del prossimo, ma fino a un certo punto, le Virtù Cardinali, ma fino a un certo punto, e via di questo passo. La verità è che non si vuole affrontare da soli il proprio cervello, come fanno i calunniati utopisti; ed è più comodo ( semplicemente più comodo) "tenersi al sodo ", cioè riposare. Lasciamo stare l'impossibile! Ma quante cose impossibili si sono dimostrate possibili: e nonostante il vizio di utopia, moltissime delle idee precedenti possono incominciare subito a diventare una realtà.

Il concorso del piano regolatore ha suggerito molte soluzioni di carattere edilizio e viario che sono inserite nel piano regolatore esecutivo e il cui carattere di morbosa attualità deve essere maggiormente sentito.

Il problema delle comunicazioni è fondamentale ai fini regionali. La già progettata strada a monte del lago, che da Como giunga almeno fino a Menaggio, mantenendosi a una quota superiore ai paesi della riva, sarebbe una stupenda e rapida strada panoramica di grande transito; i paesi stessi, non più squarciati dalla grande arteria, godrebbero di una migliore organizzazione locale. E gli automobilisti sanno quanto poco automobilistica e turistica sia la strada attuale, costretta a svolgersi faticosamente in mille curve e nascosta dietro una processione di case.

Con le strade, le ferrovie. La Nord ha lo scorso anno realizzato l'elettrificazione della Milano Como e quasi raddoppiato il numero delle corse quotidiane; ed è un notevole passo verso quel carattere di metropolitana che la Nord dovrebbe assumere, con treni frequenti e di poche vetture; quasi una tranvia, da prendere quando meglio ci capita, senza farci nessun ragionamento; magari soltanto per andare a Milano a bere il caffè. E' però di somma importanza che qualunque problema inerente alla Ferrovia Nord sia studiato e risolto non come problema tecnico e amministrativo semplicemente ferroviario; ma come un caso particolare di tutto l'organismo urbano. Ai cittadini di Como importa che l'interesse immediato della Ferrovia Nord a mantenere alla Stazione Como-Lago la stessa importanza e lo stesso carattere di Como-Borghi, non pregiudichi l'avvenire - meglio la resurrezione - di quel quartiere di Sant'Agostino che è il più dotato climaticamente e turisticamente della città.

A quando il promesso arretramento della capolinea a Como-Borghi e la continuazione in semplice sede tramviaria?

La "Metropolitana" resterà però sempre un'utopia fino a quando saranno mantenuti i prezzi odierni. Dodici lire in terza classe - non parlo delle 18 in seconda - non sono una spesa che la piccola borghesia e il popolo possono sostenere con quella spensieratezza che si diceva.

Si insiste sui problemi urbanistici perché lo scopo ultimo di questo discorso è d'interesse alla formazione di un clima nuovo, più attuale, nella vita della città e della zona; e ho già detto che questo clima dipende anzitutto da una buona organizzazione urbanistica. Per l'individuo normale il trapasso a una coscienza nuova riesce molto più naturale e convincente quando tale trapasso è suggerito e imposto in tutte le più banali abitudini della vita quotidiana - come accade in una città ben organizzata - piuttosto che col mezzo diretto di manifestazioni, congressi, esposizioni, stampa che sono regolarmente accolte dall'indifferenza.

Non è da credere che, per esempio, la funzione di completamento e coordinamento di Como con Brunate e Cernobbio possa esercitarsi in un modo vitale, se Como non provvederà a trasformare l'attrezzatura del proprio centro, che oggi non è certamente la più adatta per soddisfare le esigenze e i desideri di chi viene da una grande città. Affacciata com'è su quella grande piazza ideale che è il primo bacino del lago, la città deve essere sensibile alla presenza di questa sua piazza; non indifferente.

In questo favorevole ambiente l'attività e gli svaghi del corpo e dello spirito si innesteranno naturalmente e armoniosamente. Utopia? Sicuro.

Le cose non scivoleranno mai via così lisce, come vorrebbero i programmi. Bisognerebbe che tutti pensassero in una maniera. Ma io non voglio qui lanciare un evangelico appello alle persone di buona volontà per una crociata. Le cose qui vagheggiate non possono essere raggiunte da moltitudini marcianti in concordia; c'è soltanto da augurarsi che qualche uomo d'azione, intuendo anche vagamente le nuove necessità, ponga la gente davanti a qualche fatto compiuto; che sarà una parziale e anche inesatta realizzazione del programma, ma che avrà il gran pregio di determinare, meglio di ogni azione ortodossa, un giro di timone.

I popoli vanno avanti a forza di approssimazioni; hanno bisogno di quantità, non di qualità. La rivoluzione francese fa tutt'altra cosa che i suoi principi, ma si è insediata trionfalmente nella storia.

L'avvenire dunque è nelle mani di Dio. Ma si dice anche che chi s'aiuta, il ciel l'aiuta; e bisogna subito individuare i punti deboli. Per esempio mi si vieterà di esprimere qualche riserva su quella specie di "rito alle arti belle" che la città celebra tutti gli inverni con le stagioni d'opera al Sociale? "Il teatro lirico non muore!" E perché poi? Forse che la tragedia greca , la Commedia dell'Arte non sono morte? Nessuno veramente vuole qui uccidere l'opera lirica in se stessa, come espressione musicale che ha resistito al tempo e che anche oggi può suscitare, talvolta, una reazione spirituale nelle moltitudini. Gli strali sono appuntati non contro la sostanza, ma contro la forma: lo " spettacolo" lirico. Secondo me è umiliante, per una cittadinanza che voglia vivere nella vita del tempo, che il massimo avvenimento artistico ufficiale dell'anno - quello che beneficia dell'appoggio, materiale e morale, degli Enti Pubblici e dei privati - si risolva in uno spettacolo musicale e mondano che è l'immagine alla camomilla dello stesso spettacolo musicale e mondano di un secolo fa. Lo stesso teatro; lo stesso stile di esecuzione; le stesse consuetudini mondane della platea e dei palchettisti.

Soltanto, ogni cosa è ridotta, per "adattarla" alle esigenze moderne. Ridotto l'ingenuo simbolismo dell'allestimento scenico, con l'avvento di un non meno ingenuo verismo in stridente contrasto col carattere fantastico del vecchio melodramma; ridotto il rigore del cerimoniale costretto a venire a patti col secolo ventesimo; ridotta anche, a quel che sembra ( se non sono frottole dei nostri nonni ) la voce dei cantanti. Di tutto un po' meno, ma l'apparenza è salva.

Non si capisce che la strada dell'"adattamento" è quella dell'inevitabile costante decadenza, e meglio vale cambiar strada? Che aspetta il pubblico comasco - e non soltanto comasco - per rinunciare a questo rito di riesumazione - che potrebbe esser divertente se non fosse perfino inconsapevole - e per trasformare, sperimentare, demolire i teatri se occorre, accettare nuove produzioni, allestimenti nuovi di vecchi melodrammi, rivoluzionare l'etichetta, dimostrare infine un po' di curiosità?

L'Istituto di Cultura Fascista. La sua attività è notevolissima, nella quantità e nella qualità. Ma non resta ancora troppo in margine alla vita spirituale dell'individuo, su un terreno generico, leggermente retorico, dove nessuno è incoraggiato a quelle prese di posizione e a quegli esami di coscienza che collaudano la fede? Una cultura fascista non può che essere d'avanguardia: tale che vi si trovino affrontati tutti i problemi con quella testardaggine critica che non si arresta davanti a nessun luogo comune.

Le manifestazioni folcloristiche. Di tanto in tanto - speriamo sempre più raramente - ci si illude di divertire la gente e di far la propaganda alla regione mettendo insieme qualche festa mascherata, qualche corteo lacustre di barconi infiorati, qualche processione dopolavoristica di donne in costume. ( Le preferiamo scostumate. Ma perché collocare quei ciondoli e quei pezzetti di stoffa addosso alle donne?).

Non vorrei si credesse da quest'esemplificazione che qui si spera di vedere in Como e nella regione una specie di Ginevra della cultura, dove tutti chiacchierino di cose difficili. Si deve anzi impedire quello sfarfalleggiamento ozioso tipico delle città che, ancora oggi, sono rimaste a quel momento ottocentesco in cui le scoperte scientifiche e meccaniche si moltiplicavano sempre più impressionanti, ma si negava ad esse un'importanza "poetica". Si deve far procedere di pari passo il pensiero e l'azione, ad una unica meta; non affrontare le questioni lasciandole prudentemente sul terreno generico, ma applicarle ai casi particolari, facendone atto di vita, derivando da esse motivi di azione e di lotta e di responsabilità.

Si deve polemizzare. Tutto non può correre via nell'olio, senza aceto l'insalata è insipida. La rivoluzione fascista è una rivoluzione continua, che non sosta sulle posizioni raggiunte; e c'è tanta gente che sosterebbe e sosta così volentieri!

La gioventù soprattutto deve assumersi il compito di dare alla cittadinanza la coscienza e l'ambizione di quel livello d'avanguardia che le è assegnato e che in parte è già stato raggiunto dalla provincia e dalla regione lombarda. Non si chiede ai comaschi che di essere degni e consapevoli di alcuni risultati di notevolissima portata ottenuti recentemente dalla città stessa e che hanno procurato a Como una classificazione generica di modernità che non sempre è meritata.

Il Concorso Internazionale di Cinematografia Turistica e Scientifica, e le mostre di pittura moderna contemporaneamente organizzate all'Olmo, sono iniziative assolutamente sulla linea di una propaganda turistica intelligente. Il Concorso di Cinematografia ha poi colmato una lacuna nazionale: come dimostrano l'affluenza del pubblico e l'interesse antirettorico e antiufficiale che accompagna le proiezioni.

Le mostre di pittura hanno tenuto dal canto loro, e nelle loro modeste proporzioni, un livello di intransigenza polemica e di valore effettivo delle opere esposte superiore a quello di certe famose esposizioni.

La Mostra della Vittoria Imperiale di questa primavera, è un altro risultato organizzativo di una indiscutibile originalità ed efficacia. Il pubblico lo ha capito, con una sensibilità più acuta di certi più illustri pubblici, che dall'estasi di quel loro clima solare non li sveglia nemmeno la più efficace delle propagande.

Infine, un fatto di importanza forse più profonda ha attratto su Como l'attenzione nazionale e anche internazionale: la nuova architettura, che coi nomi emergenti di Sant'Elia, di Terragni, di Lingeri ha continuato la tradizione costruttiva comacina. Risultato che dovrebbe inorgoglire una città, come di un riconoscimento della sua possibilità di avvenire.

Ma è veramente consapevole la città di questa sua posizione di privilegio, o piuttosto non assiste passiva all'opera di una sua minuscola minoranza?

Non è il plauso che si invoca, ma una reazione - pro e contro - intelligente, di folla che ha avvertito il fenomeno, e si sente davanti a una responsabilità più che locale.

E' vicina la ricostruzione della Cortesella, e con la soluzione del noioso problema la città dovrà dare la misura del suo antico e recente primato costruttivo. Il momento è propizio: in mezzo al generale imborghesimento dell'architettura nazionale ed internazionale, in mezzo ai grossolani errori urbanistici commessi nelle più grosse città italiane e perfino in qualche centro - vedi Pontinia - di quella Bonifica dell'Agro dove il valore di un terreno riconquistato alla vita meritava di essere meglio rispettato - non dovrebbe essere difficile far bella figura.

Ed è proprio qui che si deve fare la bella figura, in questa ricostruzione del centro che segnerà l'inizio e l'indirizzo della ricostruzione di tutta la città murata.

Meglio che con le affermazioni e i programmi, la maturità rivoluzionaria di una popolazione si dimostra quando riesce a mantenersi evidente anche a contatto dei minuti, complessi e poco "suggestivi" problemi che si legano alla creazione di un centro cittadino. Problemi però che si devono risolvere nella sostanza, con soluzioni inconfondibili; perché quando la Lombardia avrà allineato qualche esemplare città moderna a fianco del suo patrimonio industriale, la vita individuale e collettiva avrà in essa raggiunto una nuova altezza. E chissà che non le sia concesso allora di "salire di rango"! in mezzo a un'Italia che da un pezzo, e oggi ancora, ci fa pagar cara la nostra "mancanza di pittoresco", e ne trae pretesto per un'ingiusta svalutazione sul piano spirituale. Ci volle tutta l'astuzia un po' servile di un Manzoni, quando si mise in viaggio per "risciacquare i panni in Arno" e acquistare così il diritto ufficiale, davanti alla cultura italiana, di mettere di moda un "pittoresco" brianzolo!

Non stupisca l'apparente "furore" regionalistico. Che è l'atteggiamento di chi vorrebbe le regioni italiane libere ciascuna di giungere a quella condizione completa di vita materiale e spirituale che è la sola aderente alla vita di un paese moderno; e che a suo modo fu già raggiunta col regionalismo politico dei secoli scorsi.

Le regioni italiane sono dunque ben preparate, meglio che in altre nazioni. Basta con una Milano monopolio delle industrie, basta con una Firenze o una Venezia monopolio dell'arte. Queste specializzazioni sono degli individui, non dei centri di una nazione di varia e vivente civiltà.

Del resto, non dimentichiamo che da quando Cristoforo Colombo si vendicò dei compatrioti con la scoperta dell'America e dell'Atlantico, il Mediterraneo si è assunta la funzione - nella sistemazione urbanistica del mondo - di " piazza degli spettacoli". E l'Italia di palcoscenico del mondo. Non alludo a una speciale attitudine istrionica degli Italiani, ma al significato di tutti i casi della vita italiana da quando fu tagliata fuori dagli assi geografici della storia: la "recitazione" della vita.

Esprimendoci con un certo semplicismo, diremmo che gli inglesi, i francesi, i tedeschi vivono in vista di certi risultati - di guadagno, di dominio, di civiltà, di piacere - ; per gli italiani invece la vita è fine a se stessa, raccolta di accentuazioni espressive dei modi di vivere. Si capisce che sia stato un popolo artista. Se uno strano cataclisma riducesse il resto del mondo in rovina, l'Italia non potrebbe sopravvivere, le mancherebbe l'uditorio; gli inglesi, anche da soli, continuerebbero a fare i loro comodi.

Questo soltanto per spiegare che il "palcoscenico" italiano ha avuto bisogno di molte scene, per rappresentare i molti drammi; e che la distribuzione regionalistica delle "parti" si è risolta in un prezioso allenamento delle città italiane ad impadronirsi ciascuna di tutti gli aspetti della vita civile. Allora su scala locale o regionale, oggi su scala nazionale; ma che ogni luogo d'Italia possa, con moderna elasticità, esprimere a turno uno qualsiasi di questi aspetti. Invece alcune " scene" più appariscenti delle altre avevano voluto ridurre l'Italia a un clichè del Pittoresco.

Pittoresco che, nonostante Mussolini, trova ancora il modo di fare capolino. E non è con la meschina risorsa del Pittoresco che l'Italia può insegnare oggi qualche cosa al mondo.

Nessuno dei motivi della vita contemporanea può restare ignoto all'Italia: la capacità di " osmosi" delle sue regioni di frontiera, importatrici ed esportatrici, è la misura della sua funzione civile.

CESARE CATTANEO