ARCHIVIO CATTANEO

Un problema tecnico e appassionante: la produzione in serie nell'architettura


Architettura - Rassegna di architettura" a. XIV, n.5, maggio 1942

Un problema tecnico appassionante: LA PRODUZIONE IN SERIE NELL'ARCHITETTURA

Tutti parlano oggi di produzione in serie. Architetti, studenti di architettura, impresari, tecnici, giornalisti. Chi è contrario ad oltranza, e vede in essa la fine dell'architettura; chi è favorevole ad oltranza, e con un programma di produzione in serie vorrebbe guarire i mali peggiori che tormentano oggi l'architettura. Due posizioni che, nel loro estremismo semplicista, mi sembrano troppo pigre per poter esaurire il dibattito: e la prova è che non solo il dibattito continua, ma si prolunga senza progredire, ciascuno dice la sua senza tener conto delle obbiezioni dell'altro; e in mezzo a tante dichiarazioni isolate una discussione efficace non ha potuto ancora prender forma. Lo scorso anno, in maggio, a Milano, nel Congresso Nazionale degli Architetti, il tema era all'ordine del giorno, e determinò infatti un vivace scambio di idee; ma, come in tutti i congressi, ciascuno se ne andò con le idee di prima; e l'atmosfera di vacanza, la necessità di accomodare la discussione nelle ore fissate dal programma, il modo brillante d'esprimersi, la prontezza nel ribattere, ebbero il sopravvento sulle idee. Infine, si chiede: che cosa pensano gli architetti della produzione in serie? Perché la giustificano? Perché la combattono? In quale forma la vorrebbero? Tenterò qui di annotare alcuni aspetti del tema, tra quelli che mi sembrano essenziali per giungere a un'efficace presa di posizione; e la mia opinione davanti ad essi.

Anzitutto, la produzione in serie è un problema d'architettura? Non pretendo di saper rispondere a questa domanda, che evidentemente è la fondamentale, e che ci impone una definizione filosofica dell'architettura e dell'architetto, e una loro posizione limpida nel quadro di una vita umana ben vissuta. Osservo solo che moltissimi, i quali pure sono spicci e draconiani nel prender partito davanti alla produzione in serie, neppur loro saprebbero rispondere: e pretendono di risolvere la parte (produzione in serie) senza avere un'idea chiara del tutto (architettura; oppure, senz'altro vita) che contiene la parte. E mi pare un assurdo.

Evidentemente, un programma di produzione in serie si pone soltanto davanti a quegli edifici, o parti di edifici, che il mercato richiede in gran copia di esemplari; per esempio, le case d'abitazione, le scuole, gli uffici. Una giusta attività di architetto non dovrebbe comprendere solo quei temi, anzi li dovrebbe, probabilmente, considerare secondari a paragone degli altri che esprimono una più vasta sintesi spirituale (e perciò anche funzionale); come per esempio le chiese. Non credo, però, che l'architetto, pur non costringendo in essi l'intera visione del suo compito, debba escluderli dalla sua attenzione: almeno, per dare un indirizzo. E perché il merito dell'architettura moderna è stato appunto di far dimenticare all'architetto di essere "l'architetto" per ricordargli che egli è anzitutto un uomo: e che l'arte e la bellezza possono essere diffuse dappertutto, (quello il merito; le deficenze poi di quell'architettura dipendono da questo: che , giunti a ricordarci di essere uomini, non abbiamo più un'idea limpida e bella di questa parola. Ci è, abbiamo capito che per costruire bene bisogna vivere bene; ma non sappiamo come si fa).

Si possono distinguere, in parole povere, come spunto di discussione, tre modi di costruire e di organizzare il cantiere edilizio:

1) Fuori serie, come nell'uso tradizionale, che discende da una forma artigianale dell'edilizia (benché naturalmente una produzione in serie ci sia anche qui, ma secondo un modulo molto piccolo di dimensione dell'elemento normalizzato: per esempio, lavabi, lampadine, mattoni).

2) Elementi in serie; dove il modulo s'ingrandisce: dal lavabo in serie si passa all'intero gabinetto da bagno in serie; dalla maniglia e dal profilato normale in ferro all'intero serramento.

3) Edificio intero in serie; dove il modulo diventa grande come tutta la casa. Esempio: case prefabbricate smontabili.

Io sono contrario al secondo sistema (che pure nelle discussioni raccoglie i più numerosi consensi). Mi sembra che lo studio e l'uso di un serramento intero "normalizzato" (invece che del solo profilato di ferro che serve per comporre in forme e misure diversissime il serramento) da una parte riduca le possibilità di scelta e quindi i mezzi a disposizione dell'architetto per mettere a fuoco la sua forma lirica; dall'altra non abbia un senso architettonico, perché il significato e la validità di un gabinetto da bagno dipendono, evidentemente, da quelli di tutta la casa, e non possono determinarsi da soli; nessuno di noi, quando progetta, pensa a una stanza in se stessa, ma la mette sempre in rapporto con le altre stanze e con tutto l'edificio, cioè la inquadra in un'altra sintesi.

L'arch. Cattaneo è eroico ad insistere... su questa inquadratura dei W. C ...... (n. d. d.)

Vorrei invece che gli sforzi degli artisti e dei tecnici si orientassero verso il primo e il terzo sistema, in un programma bilaterale. Produzione fuori serie per quelle categorie di edifici che si costruiscono in piccolo numero di esemplari: contrastando all'attuale tendenza di "uniformare" dei tipi di elementi (leggi: secondo sistema) che vorrebbe ridurre a 5 i 50 modelli di lavabi oggi in commercio; aumentando piuttosto il numero dei modelli di lavabi oggi in commercio; aumentando piuttosto il numero dei modelli a 100, 200, 500, ( e quella dovrebbe essere la direzione di sfogo e di sviluppo dell'artigianato, oggi in una posizione così ibrida). Produzione invece di edifici interi là dove la richiesta del mercato è in grado di assorbirne la vasta produzione: come nell'esempio prevalente della casa di abitazione (e qui dovrebbe essere il dominio incontrastato della grande industria). Alla direzione delle due produzioni, e a cavallo di questa specie di bilancia di compensazione su cui oscillerebbe tutta l'attività edilizia: gli architetti.

Ci auguriamo che gli architetti facciano riflettere gli ultra razionalizzatori, che gli impianti sono quel che sono e che mai converrà distruggerli...per fabbricare in 5 tipi, anziché nel numero che corrisponde agli stabilimenti esistenti. (n. d. d.).

Si può obiettare: nello stesso modo per cui gli elementi di una casa hanno un senso non presi a sé, ma come parti dell'organismo della casa, anche la casa non si può considerare isolata, e s'inserisce nell'organismo della città. E la città nella regione, la regione nella nazione, la nazione nel continente, nel mondo; e il mondo? Ci si affonda in un assurdo materialistico, nella ricerca di un "tutto" sempre più vasto (ma il tutto è nella nostra anima, non in uno spazio materiale).

Si risponde che, per innumerevoli cause lumeggiate dalla civiltà, fra i tanti organismi intorno a cui si polarizza la vita degli uomini, quelli che sono stati sempre lo scopo dell'architettura e dell'edilizia hanno sempre avuto, nello spazio fisico, la dimensione dell'edificio intero; e solo in qualche esempio eccezionale - vedi Pienza - quella del gruppo di edifici, l'edificio è il tema del mestiere architettonico; non la città (urbanistica) che è compito del mestiere politico, sociologico, filosofico: con la parte di edificio, che è compito di tecnici, di arredatori, ecc. Che perciò l'architetto, davanti alla produzione in serie, dovrebbe d'istinto orientarsi verso quella dell'intero edificio.

Si può ribattere che una produzione in serie vuol rispondere a una funzione della vita, per esempio l'abitare; che dunque non si può incatenarla nell'edilizia, perché l' "abitare" potrà nel futuro non essere più espresso dall'edilizia: se gli uomini tornassero a vivere sotto gli alberi, o dormissero nei vagoni ferroviari?

Ma una tale situazione è da immaginarsi, evidentemente, non prossima: perciò estranea al problema, che è invece immediato e perennemente urgente, della costruzione di case di abitazione. Potremo in avvenire scaldarci con qualche estratto di raggi solari; ma nell'attesa non dobbiamo preoccuparci di migliorare il rendimento della nostra stufa a legna?

Dunque però una soluzione urbanistica diversa dall'attuale può modificare anche l'organizzazione di una produzione in serie. E nasce una nuova obbiezione: perché affannarci a mobilitare tutte le nostre energie per instaurare e rendere efficace un programma che impone un'evoluzione alquanto complessa, delle abitudini mentali e della struttura industriale ed economica dell'edilizia, quando già sappiamo che l'avvento dei nuovi schemi urbanistici ci obbligherebbe probabilmente a smobilitare di nuovo, e a ricominciare daccapo con tanto spreco di tempo e di fatiche?

Si può osservare, peraltro, che un sistema di costruzione di case in serie dovrebbe presupporre, anche per l'efficienza delle case stesse, una loro breve durata e una possibilità di smontarle e di permettere un nuovo impiego, almeno parziale, dei materiali adoperati.

La casa d'abitazione, che soddisfa tante esigenze pratiche e materiali e perciò di breve durata perché soggetta all'evoluzione fisica del nostro corpo, non è quella cosa eterna e solenne che ci siamo abituati a concepire per il semplice fatto, di natura contingente, che le risorse tecniche dell'edilizia antica non permettevano certe elastiche forme di espressione costruttiva.

A costo d'essere linciato, io penso che l'uomo dovrebbe fare la casa anche per i pronipoti. Se c'è un elemento che deve adattarsi, questo è l'uomo: la casa esprimerà la continuità della vita.

Ma altre obbiezioni si è soliti opporre a una ripetizione in serie di case intere. Una, frequentissima, discute la validità architettonica della costruzione in serie, che, nella sua definizione stessa di forma che si ripete in molti esemplari, si opporrebbe al determinarsi lirico dell'opera d'arte; creare non è copiare. Ma c'è un equivoco. Un artista non crea, e non si determina liricamente quando copia l'opera d'un altro artista; ed anche quando, evitando l'avventura di una nuova ispirazione, si culla nei riflessi di se stesso e, ricalcando gli elementi materiali di un'opera precedente, spera di ricomporre comodamente la stessa realtà organica. Ma nel nostro caso il programma della ripetizione è posto fin dal principio; partecipa dell'innocenza del fatto creativo e concorre a definirlo: una casa in serie è pensata subito in serie, in unità di progetto ed esecuzione. Un progetto di case in serie realizzato in un solo esemplare è come una casa costruita a metà. E c'è forse qualcuno che nega un significato lirico al Partenone perché ci sono così tante colonne uguali?

(Non si creda però che anch'io voglia difendere la produzione in serie col paragone, spesso tirato in ballo, dei templi greci anch'essi "costruiti in serie". Mi si potrebbe rispondere che i templi greci sono sbagliati. E dovremmo smetterla anche col paragone dell'automobile: una casa non è un'automobile, e, di quel passo, Tizio dovrebbe abitare la stessa casa di Caio perché porta le stesse scarpe).

Si dice anche: la casa in serie si diffonde in America perché laggiù l'uso è di abitare case isolate; ma da noi, dove i quartieri d'abitazione sono formati da case multipiane d'affitto - con alcuni notevoli vantaggi nell'ordine urbanistico ed economico, - è utopia parlarne. L'osservazione si pone naturalmente soltanto entro uno "statu quo" urbanistico: ma pure in quel caso, non credo che si debba escludere a priori la possibilità di una costruzione in serie anche di case a molti piani ed appartamenti: probabilmente la strada giusta è nello scindere la struttura portante - da costruirsi in serie per essere poi venduta od affittata, come di tanti terreni sovrapposti - dal riempimento e dalle opere di finitura, risolte individualmente da ogni abitante. Qualcosa come nel piano regolatore d'Algeri di Le Corbusier.

Molti architetti gettano anche l'allarme sulla disoccupazione che li colpirebbe con l'avvento della produzione in serie. La preoccupazione denuncia una concezione molto statica dell'arte architettonica. Gli architetti avrebbero sempre, nei molti edifici fuori serie, un mezzo d'espressione delle loro tendenze più individuali. E gli stessi edifici in serie, che presuppongono un'industria edilizia controllata e guidata, in tutta la complessità della sua organizzazione, dagli architetti, determineranno una mobilitazione di tutti loro, per l'analisi e la revisione delle tanti parti. Un imponente lavoro di collaborazione sarà richiesto agli artisti. Oggi l'architetto, nel cantiere fuori serie, è incapace di signoreggiare nel tempo e nello spazio, tutte le espressioni e tutte le sfumature della gran macchina cui ha dato una vita. L'assunto unitario dell'architettura moderna, che getta l'organismo dell'edificio in infinite interferenze con tanti fenomeni della civiltà, è troppo grande per lui solo: e la realizzazione di un progetto, invece che permettergli una amplificazione armonica del tema da lui sommariamente disegnato sulla carta, lo vede assistere impotente alle troppe deviazioni del fiume di energie messo in moto. La casa in serie, indirizzando i temi verso le soluzioni più elementari e permettendo quindi di precisarli e di sorvegliarli in tutti i loro particolari e in tutte le fasi del fenomeno edilizio, incoraggerà gli architetti a uno sforzo concorde e cosciente e li inquadrerà in una distribuzione di compiti: invece che dieci tipi di case la gente ne vedrà uno solo, ma intorno a quello avranno lavorato dieci architetti; ed in ogni suo particolare, anche il più umile, invece che abbandonato come oggi all'arbitrio miope dei tecnici e degli industriali e degli speculatori, sarà illuminato e redento dalla fantasia degli artisti....

Divenuti gli architetti degli impiegati, resterà tra loro qualche artista? Forse qualche "capo ufficio"!

Fantasia degli artisti, ma dove ti potrai esplicare? (n. d. d.).

Anzitutto, esiste sempre la valvola del fuori serie, in quel programma bilaterale esposto in principio; e in essa molte categorie di persone potranno soddisfare i loro gusti. Poi, credo che si esageri nel voler esprimere nella casa dove abitiamo tutte le forme meno collettive della nostra vita. Che la nostra casa non diventi un tempietto enciclopedico per rinchiudervi comodamente tutta la nostra vita più profonda. Basta una buona volta con la famosa "intimità" che è poi l'atmosfera che ci permette di evitare le idee più coraggiose ed imbarazzanti (e che si traduce anche plasticamente in armonie di esile respiro. Le abitazioni belle non permettono all'abitante di viverci spensierato). Non abbandoniamo le biblioteche per la bibliotechina di casa, i teatri e le sale per le audizioni radiofoniche, le palestre per gli anelli appesi al soffitto dell'anticamera; le chiese per l'altarino in camera da letto; non facciamo della casa una miniatura caricaturiale del mondo. Abituiamoci a vivere fuori di casa, a contatto con fenomeni più cosmici. I nostri sentimenti saranno più nobili e maschi, ed anche la casa tornerà la sede soltanto delle funzioni che è più atta ad esprimere; e che più facilmente si possono costringere in una soluzione in serie.

Infine, un edificio in serie può non essere così spietatamente uguale e monotono come si dice. Non si pensa che basta una tinta diversa delle pareti; una piccola variante nei materiali di finitura interna od esterna (e, come in ogni produzione industriale in serie, le fabbriche lanceranno sul mercato tre o quattro varianti per ogni tipo), per trasformare l'ambiente, e definire l'abitatore. Anzi, la piattaforma comune sarà come il sistema di coordinate che ci permetterà di meglio percepire e misurare quelle differenze: la diversità è tale, in quanto nasce dall'uguaglianza.

CESARE CATTANEO