ARCHIVIO CATTANEO
Estratto dalla postfazione
...Nel racconto L'Haydamak Sacher-Masoch è ancora
più esplicito, riconosce lo zampino di Satana in ogni azione dell'uomo, e
ripudia come sacrileghi gli istituti sui quali poggia la società del suo tempo;
è il terribile enigma dell'esistenza, gli uomini sono gli eredi di Caino, che
ha loro trasmesso questi sei doni: l'amore, la proprietà, lo stato, la guerra,
il lavoro, la morte. Cos'è
la vita? si
domanda lo scrittore, e la risposta è inequivocabile: sofferenza, dubbio,
angoscia, disperazione. Chi sa donde viene, o dove va? L'uomo non ha alcun
potere sulla natura, e le questioni che lo agitano rimangono senza risposta;
tutta la sua saggezza si riassume alla fine nel suicidio. Ma la natura gli ha
inflitto una sofferenza ancora più terribile della vita: l'amore. Gli uomini lo
chiamano fortuna, voluttà; altro non è invece che una lotta, una battaglia
mortale?
Ma se è evidente l'influenza del pensiero di Schopenhauer, si possono trovare interessanti analogie anche con Leopardi, almeno quello delle Operette morali, in particolare riguardo al Dialogo della Natura e di un Islandese. Un viaggiatore islandese, che era andato per tutta la vita fuggendo dai rigori del ghiaccio e cercando invano nei più remoti paesi pace e tranquillità, -racconta il poeta marchigiano- s'incontra nell'interno dell'Africa proprio con la Natura, sotto forma d'una ≪smisurata donna bella e terribile≫. Dopo aver accennato ai suoi viaggi, le chiede con ansia perché l'uomo debba trovare nell'universo null'altro che sventure e ostacoli; ma la Natura oppone crudele disprezzo e indifferenza. ≪La vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione≫, la Natura crea per tormentare e distrugge per conservare, cosicchè non lascia nemmeno che l'islandese rinnovi la sua protesta contro le ingiuste sofferenze umane e manda due leoni famelici a divorare il malcapitato islandese.
Sulle analogie tra Schopenhauer e Leopardi è comunque interessante rivisitare anche il saggio (in forma di dialogo) di Francesco de Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, pubblicato nel dicembre 1858 sulla ≪Rivista Contemporanea≫. Nel saggio, le cui conclusioni personalmente condivido con qualche riserva, l'illustre critico rileva come non sia possibile fare un paragone fra i due senza sentire la infinita differenza tra il pessimismo amaro del filosofo tedesco e il pessimismo sui generis del poeta italiano. ≪Leopardi, - commenta infatti,- produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto [...]. Ha cosi basso concetto dell'umanità, e la sua anima alta, gentile e pura l'onora e la nobilita [...]≫.
Mi si consenta tuttavia di far osservare che, almeno dal 1830 alla morte, anche a causa delle pietose condizioni del corpo e dello spirito, Giacomo Leopardi paleso un animo tetro e stizzoso, certamente tutt'altro che "gentile".
Specchio di questo pessimismo leopardiano degli ultimi anni sono gli accenti amarissimi de La ginestra, nella quale la natura viene descritta: [...] quella che veramente è rea, che de' mortali madre è di parto e di voler matrigna.
Mi è francamente difficile leggere in questi pur mirabili versi quell'≪effetto contrario a quello che si propone≫ del quale il de Sanctis si fa, forse troppo frettolosamente, assertore.
La pianura come il mare. ≪La pianura si distende senza limiti come il mare, il vento la agita, la fa vibrare come il mare...≫. Anche la similitudine pianura = mare e una costante del pensiero dello scrittore galiziano.
Nel già citato Haydamak, non manca l'accenno mare-altopiano: ≪Questo immenso altopiano si distende in maestose onde come fosse un oceano nel quale i cavalieri sembrano nuotare...≫.
Nell'incipit del racconto Frinko Balaban il paragone poi e insistito e raggiunge i vertici massimi dell'arte di Sacher-Masoch. Non è più una distesa di erba senza limiti che oscilla al vento come l'onda del mare, ma una tovaglia di candida neve ad assumere le sembianze del mare sconfinato: ≪Chi, portato da un'agile barchetta, scivola sul mare calmo e sereno, lasciando che la massa d'acqua scherzi con lui, mentre i lembi sfumati delle coste svaniscono poco a poco in una vela di bruma e il suo sguardo trasognato sonda l'oceano d'aria che lo sovrasta, costui mi comprenderà, forse, quando parlo della pianura galiziana, di questo oceano di neve che d'inverno viene solcato dalla slitta veloce.
Come l'onda, la pianura seduce l'animo e lo pervade d'un languore malinconico. Nondimeno l'andatura della slitta è viva e svelta come il volo dell'aquila; quella della barca, quando fende l'acqua, è invece simile al volo pesante dell'anatra. Anche il colore della piana sconfinata e più triste: i suoi accenti più cupi, più minacciosi; è la natura implacabile che si disvela e, mentre la morte vi sembra più vicina, vi sfiora con la punta della sua ala, si sentono fremere nell'aria le sue mille voci...
....Davanti a noi null'altro che colline innevate, simili ai marosi gelati d'un candido mare. Là dove questa tovaglia abbagliante si saldava al cielo biancastro, lo splendore era tale che, per sopportarlo, bisognava avere occhi capaci di rivolgersi impunemente al sole. Alle nostre spalle scomparivano sia il villaggio sia la foresta fulva; in lontananza le cime spoglie delle montagne s'illuminavano per l'ultima volta, poi svanivano al pari delle colline e degli alberi solitari. Eravamo entrati nella pianura infinita. Neve davanti e dietro di noi, un cielo bianco sopra le nostre teste, e intorno la solitudine assoluta, la morte, il silenzio. Ora ci muoviamo come in un sogno. I cavalli nuotano, per cosi dire, nella neve; la slitta li segue senza brusii...
...Si da forse il caso che la nostra slitta si pianti come una imbarcazione che ondeggia di qua e di là, senza procedere, in mezzo alla calma piatta del mare? Crediamo forse di andare avanti, allo stesso modo che crediamo di vivere; perché in fondo in fondo noi viviamo realmente? Vivere non significa essere? Or dunque cessare d'essere, e non essere mai stato...≫
Prima di Sacher-Masoch, lo stesso Puškin ne La figlia del capitano aveva scritto che ≪sembrava la navigazione di un bastimento su un mare tempestoso≫, così descrivendo il faticoso procedere del carro del protagonista sorpreso dalla tormenta di neve. In questa similitudine pianura = mare s'innesta un terzo elemento. Come qualifica infatti la pianura Sacher-Masoch? ≪Silente come l'infinito≫.
L'infinito. L'anonimo critico della ≪Revue des Deux Mondes≫ non trova di meglio che presentare così Sacher-Masoch: ≪Il realismo comincia a far scuola nell'Oriente slavo, dove si è presentato sotto un nuovo aspetto, ammantato di un rassegnato pessimismo, in questa cieca sottomissione ai dettami della natura che è la base della filosofia morale di questi popoli di pastori. Il rappresentante più curioso e più rimarchevole di questa scuola e un piccolo-russo della Galizia, il signor Sacher-Masoch≫. Realismo in letteratura e positivismo in filosofia vanno a braccetto; il soggetto si scopre impotente dinnanzi all'infinità della natura, non può che sottomettersi a lei rassegnato. Come ho già citato: ≪Lui si sente estraneo... guarda le formiche, che in lunghe carovane, cariche delle loro uova, vanno e vengono sulla sabbia calda: ecco il mondo che gli tocca. Comprimersi in un piccolo spazio, penare senza tregua... per niente≫. E, a questo riguardo, tirerei nuovamente in ballo Leopardi, che all'infinito ha dedicato la sua lirica più densa di significati. A confronto con l'infinito di Sacher-Masoch, di matrice prevalentemente
fisica, angosciante, opprimente, che non può che suscitare rassegnazione e pessimismo, quello del giovane Leopardi abbraccia una dimensione allargata, più intensa: e l'anelito dell'intelletto a spaziare dai limiti del finito verso la conquista di una dimensione d'interiorità infinita che, tutt'altro che opprimente, gli fa alla fine esclamare ≪e il naufragar m'è dolce in questo mare≫. Il Leopardi degli Idilli, non ancora avviato al dolore cosmico e alla lirica filosofica della fase più matura, approda al massimo traguardo della speculazione artistica: il tutto nel nulla, l'infinito nel finito. È questo il Leopardi che non ha ancora incrociato lo Schopenhauer, cui a mio modestissimo parere invece La ginestra l'apparenterà.